Crediti
Coordinamento | Marinella Guatterini
Assistente al coordinamento | Davide Montagna
Tutor dei progetti EN AVANT! | Paola Bedoni, Paola Lattanzi
Luci | Paolo Latini, Simona Ornaghi
Costumi | Nunzia Lazzaro
Elementi scenici | Alice Capuani, Mattia Franco
Progetto fotografico | Denise Prandini
Coordinamento organizzativo | Camilla Gentilucci, Lorenzo Vannacci
MORSI 2025, PIÙ IN LÀ DELLA DANZA E DELLA PAROLA
MORSI 2025 compie undici anni e cambia. Senza mutare la sua natura di vetrina “mordace”, si allontana e/o dribbla i festival milanesi di settembre o incipienti in ottobre, per continuare il suo percorso di messa in mostra di una giovane coreografia e di un teatro fisico che ha già preso la parola, e quando riesce formula sperimentazione e ricerca.
Burnin’ performance della regista Arianna Sorci - giustamente anteposto al resto - è esempio eclatante della collaborazione tra varie discipline. La multidisciplinarietà di cui troppi sproloquiano e pochi sono in grado di articolare, è fiore all’occhiello della Scuola, per dare forza a un’arte contemporanea che tanto spesso va anche in quella direzione. Con i danzatori/coreografi/performer Chiara Carducci, Aichatou Cherif, Claudio Gattulli, Carlotta Perego e il dramaturg Alessandro Petrillo, ci sposteremo così nell’ampia corte d’ingresso della “Grassi” dove sarà parcheggiata una macchina. Oggetto non sono casuale: la pièce nata da una sperimentazione nel 2023, già muoveva i suoi passi riflettendo sul fenomeno del burn out esplorato dal coreano Byung-Chul Han, filosofo di chiara fama, in La società della stanchezza (2020).
Mosca Cieca testo di Silvia Guerrieri messo in scena da Athos Mion, regista diplomato e pure drammaturgo,- tante volte in coppia con l’indimenticabile Filippo Bonacchi, danzatore/performer/clown (Corso Danza Contemporanea) tragicamente scomparso poco più che ventenne in questo terribile 2025 - , agisce nel vortice di un teatro fisico e di parola. Svapora e si accende il ricordo delle Tre sorelle di Céchov - interpretate da Diana Bettoja, Silvia Guerrieri, Miriam Moschella - speranzose e disilluse, in questa pièce dedicata invece alle ripetute offese alla femminilità e agli incessanti femminicidi.
Al pari della sezione teatro, sempre cangiante nel solco delle continue trasformazioni della scena performativa odierna, e a cura della Direzione della Scuola, anche l’ambito coreutico contemporaneo quest’anno ha mutato volto. I sei En Avant, distribuiti in due serate distinte, sono tutti a cura di studenti diplomati Afam, ovvero con laurea equipollente di primo livello. Giunti a questo traguardo speciale in numero di quattordici, gli studenti hanno vissuto tagli di necessità nella selezione dei loro progetti ai quali, tra l’altro, si sarebbero potute accostare le Masterclass importanti di questo per loro ricco A.A. 2024-2025 (giunte sino a Parigi e con mirabile successo!). Guardano al futuro, questi En Avant? Per ora sono un’eloquente cartina di tornasole delle personalità di autori e interpreti co-autori e di quanto hanno saputo rattenere negli anni “meravigliosi e terribili” della Scuola, come ripeteva con il suo contagioso sorriso l’indimenticato Filippo.
Et voilà. Senza coda di e con Arianna Delle Gemme è un solo paradossale e ambiguo: la coda che Arianna porta in testa ricorda una delle più esilaranti creazioni di Merce Cunningham alle prese con un maglione dal quale non spuntava mai il suo viso. Ma va bene così: ben pochi sanno, o ricordano, fuori degli ambiti preposti chi sia stato questo silenzioso e radicale ribelle nella danza e soprattutto nella coreografia; per giunta Senza coda è un assolo inquieto, magari ironico ma per nulla ridanciano. Podiàfos di Priscilla Cornacchia, autrice e danzatrice del pezzo che interpreta assieme a Giorgia Atti, Alvise Gioli, Miriam Maso, è invece un concentrato di energia e libertà; dentro l’oscurità, i corpi si purificano nel rito di una luce solo interiore. E’ una rinascita forse scaramantica in un mondo giusto e armonioso che non c’è ma che in ogni caso brilla sotto i piedi di questi tedofori in viaggio (verso le Olimpiadi?) tra i testi scritti e cantati anche dall’autrice. Alla fine della prima tornata dei progetti, Prometheus di e con Marcello Malchiodi è la seconda tappa di una trilogia dedicata all’indagine delle molteplici declinazioni della follia. L’assolo s’ispira liberamente al romanzo L’ultimo giorno di un condannato di Victor Hugo, e ne riprende la tragica condizione psicologica dell’emarginato. Interessante la modalità della ricerca, nata anche dall’osservazione delle condizioni di vita dei carcerati nelle “belle” prigioni italiane.
Con il suo terzetto tutto femminile - Giorgia Atti, Arianna Delle Gemme, Rossana Martire - e il titolo della sua pièce, un po’flamboyant e un po’anni Sessanta, Alvise Gioli sembra evocare calde e serene estati al mare. In realtà l’autore di In fondo alla litoranea pretende dalle sue danzatrici tuffi in catinelle d’acqua, un continuo restare in apnea, un trasformarsi in pinne e in nuotatrici. E’ un sadismo calcolato nell’apertura della seconda tornata degli En Avant. Alvise ragiona sull’ontologia acquatica, sul nostro rapporto con l’acqua - lo scrive lui stesso - e sulla necessità di dover riconsiderare questa nostra relazione: l’acqua ora ci manca ora ci inonda. Finiremo per immergervisi, cambiando habitat dopo aver preso un ultimo respiro. I liquidi affascinano anche Lorenzo Dino Marchionni che lascia a una coppia - Elia Bucchieri, Arianna Delle Gemme - il suo forse autobiografico“ Tutto ciò che non riesco a dire sono io”, in Quando l’acqua diventa ghiaccio. La ricerca per giungere alla creazione del duetto che per fortuna mai cede alla didascalia, risale allo studio sulla sensibilità dell’acqua del giapponese Masaru Emoto, saggista e pseudoscienziato giapponese interessato addirittura alla memoria dell’acqua, alla sua emotività “atomica”. Lorenzo trasferisce questo inedito bagaglio nelle relazioni umane, nelle emozioni contrastanti dettate da “non detti "e infinitesimi dettagli: un sospiro, uno sguardo, un fonema, laddove regna il silenzio o una micro - musica d’ambiente.
Infine Pelle di e con Giovanna Seccia s’interroga sui mutamenti della vita in generale, sull’equilibrio tra tenere o lasciare ciò che appartiene al passato e sul dubbio che quest’abbandono, entro una transizione incerta, sia davvero necessario. Parrebbe un assolo d’impronta psicologica; in realtà è un breve viaggio verso un’Itaca, suggerisce l’autrice, che non è meta ma tappa. Il tutto benedetto da una breve ed esistenzialistica, poesia di Giorgio Caproni: “Il mio viaggiare. E’ stato tutto un restare qua, dove non fui mai”.
Nell’insieme in questi En Avant si noterà una decisa necessità di riflettere se non di ricercare, con riferimenti ad artisti visivi importanti e a musicisti non da discoteca. E’ una sprezzatura per chi, dopo tanto lavoro con i docenti del Corso, si permette il lusso dei significanti, e gioca con il movimento riconsegnandolo al piacere di costruire forme poetiche e/o misteriose (Kant), ma mai con l’intento di produrre significati talmente comprensibili da risultare univoci. Gli En Avant insorgono contro le leggi che inchiodano lo spettatore al “già noto”. Preferiscono spronarlo a entrare in sintonia con ciò che vede attraverso i suoi sensi, la sua sensibilità, i suoi pensieri anche diametralmente opposti a quelli dell’autore, prediligendo sempre l’istinto alla ragione.
Una giornata particolare
Esattamente in questo solco s’inserisce la sorpresa “Danzare Oltre”- omaggio a Dominique Dupuy (1930- 2024), artista quasi emarginato e poi diventato “un tesoro nazionale” vivente per i francesi, e non solo, nel suo essere stato il primo maestro di una danza senza regole, ma perfetta e già contemporanea, creando, teorizzando e scrivendo accanto all’amata Françoise Dupuy, sua compagna di vita. La vetrina di “Morsi” non è solita predisporre omaggi, ma quest’articolato evento, - con proiezioni, incontri, dialoghi, frammenti spettacolari e una masterclass - che parte proprio nel giorno di nascita di Dupuy - il 31 ottobre - richiama gli anni della presenza del maestro alla “Paolo Grassi” e di quegli ex-studenti che hanno dichiarato di aver fortificato la professione non certo facile del danzatore proprio grazie al suo esempio. Nel 2014, in occasione del suo secondo ritorno a Milano, Dupuy scrisse una lettera in cui trionfa un’idea pedagogica e artistica ancora viva. Vale la pena rileggerla.
QUANDO TUTTO E’ CONSUMATO, 2014, Dominique Dupuy
“Finito. E’ finito. Sta per finire. Forse sta per finire”
Samuel Beckett, Finale di partita
Care danzatrici, cari danzatori,
Amo che il senso di un progetto prenda corpo nel corso del suo sviluppo piuttosto che nel volersi attenere a idee preconcette, anche se è evidente che queste ultime sono necessarie.
Forse solo ora posso trovare, ritornando sul cammino percorso, se non una coerenza almeno un filo del lavoro che abbiamo fatto insieme. Non potevo prevedere le vostre reazioni che hanno a loro volta provocato le mie e dunque contribuito a far evolvere il corso delle cose, allontanandomi a volte da ciò che avevo previsto, ma rivelandomi d’altra parte delle piste alle quali non avevo per nulla pensato.
Cosi il progetto ha trovato la sua vita autonoma. Non dimentico per esempio le vostre domande sulla tecnica, non dimentico neppure il vostro smarrimento davanti a certe mie proposte e modi di operare per i quali non eravate senza dubbio sufficientemente preparati.
Il progetto? Si trattava di rispondere il più efficacemente possibile alla proposta della Scuola di perseguire il lavoro iniziato lo scorso anno. Così non ho concepito una pièce, una creazione, una ripresa identica, bensì una sorta di messa in opera fatta di domande. La mia intenzione non è stata riprendere in modo identico la coreografia originale,- il suo texte -, anche se in alcuni momenti ci sono delle incrostazioni di frasi coreografiche vicine all’originale come citazioni, ma di prenderla come prétexte per un lavoro basato in primo luogo sul coro, azione collettiva adatta a un gruppo, cosa che oggigiorno si vede raramente. Il gruppo in questione è quello che voi formate dopo due anni di studi passati insieme. La forma coro mi dava la possibilità di mettervi tutti nell’azione, anche se alcuni tra di voi hanno avuto in alcuni momenti delle responsabilità particolari.
Anche la musica non è stata utilizzata per un texte, che non abbiamo seguito, ma anch’essa come prétexte e come motore. I magnifici suoni esigono dal flautista un soffio potente che non è senza legame con quello della danza. Abbiamo avuto la fortuna di avere con noi Dario Cottica, un flautista la cui gioventù è pari all’eccellenza. Spero che la sua energia sia stata comunicativa.
Paolo Grassi, il luogo. Ho cercato di utilizzarlo non come un teatro, ma come un luogo transitorio tra la Scuola, dove ancora voi siete, e il teatro nel quale sarete destinati ad entrare. All’inizio siete all’esterno, davanti alla porta della Scuola, vi entrate; come per gioco siete seduti per qualche momento sui banchi, mentre in altri momenti siete in azione nelle due parti dello spazio, più attivamente al proscenio, vicino al pubblico, e meno nel retroscena che mi evoca gli spazi che si scoprono sullo sfondo dei dipinti primitivi. Alla fine della pièce, dopo la Sardana che vi riunisce, scappate dalla Scuola: la porta è aperta per farvi volare con le vostre ali.
Nel lavoro che abbiamo compiuto insieme la ricezione del pubblico, è una componente indispensabile, è fatto per essere visto, e ne terremo conto, ma non dirò mai abbastanza che è ciò che ne avrete trattenuto, nel positivo come nel negativo, che mi sembra la cosa più importante.
Per quanto mi concerne, eterno debuttante che sono, nei lavori che faccio considero sempre ciò che mi apportano. E’ importante per me, è sicuro, ma a mio avviso è forse anche il miglior modo di pensare che possono apportare qualcosa agli altri. Ecco cosa mi ha particolarmente colpito:
Innanzitutto una riflessione non nuova: non è ciò che si insegna ad essere prioritario bensì a chi si insegna, che a sua volta ne determina il come. Potremmo considerarlo pedagogia, molto assente oggi nella maggior parte del pensiero sulla danza, e che da parte mia definisco studiosità : ai miei occhi è l’importanza dello studio e del lavoro che vi si svolge. Per contro, si è affacciata una riflessione mai intravista cosi fortemente, quella della globalità e del dettaglio, la loro alternanza, il loro sovrapporsi, il modo di giocarci che chiama un altro elemento, lo stratagemma. Come ci si serve dello stratagemma? Lo stratagemma di un corpo spesso incosciente che nega le difficoltà mascherandole con delle compensazioni, delle imitazioni, dei surrogati e quel super-cosciente di un corpo che elude le difficoltà e le impossibilità trasformandole nei loro contrari. Questo mi ha permesso di rituffarmi nel dominio della greca che è forse la forma d’intelligenza più propizia all’esercizio della danza.
L’anno scorso avevo amato mettervi in cerchio per iniziarvi alla Sardana. L’abbiamo ripresa quest’anno e ho subito avuto desiderio di integrarla nella cinquième incantation “per una comunione serena con il mondo”.
Mi è ritornato un pensiero che mi assilla da molto tempo, quello della danza tradizionale e del suo ritorno, che oggi si vede spuntare, anche se timidamente, in qualche giovane coreografo. Ho dunque introdotto due altri frammenti, la bourrée alverniate (dell'Alvernia) in coppia che apre la deuxième incantation “perché il bambino che nascerà sia un maschio” e una ronda aperta bretone per la fine della troisème incantation “perché il raccolto che nasce dal solco che traccia il lavoratore sia ricco”.
E’ forse da questo ritorno alla danza tradizionale che potremo ritrovare la gioia profonda del lavoro, quella degli artigiani più che degli artisti, che è stata quella dei fondatori della danza moderna. Non sono sicuro di avervi aperto questa via, ma ritrovandola forse sotto i vostri passi, comprenderete ciò che è stato il mio approccio.[…].
Quando tutto è consumato, per fortuna resta ancora ciò che il tempo stesso non potrà mai del tutto cancellare dal vostro corpo e dal vostro spirito, questo perlomeno è quanto vi auguro di cuore.
MORSI 2025 chiude com’è iniziato con Lexicon, pluripremiata pièce teatrale della Compagnia CORPORA - Eliana Rotella (Dramaturg) e Giulia Sangiorgio (Regista) Lexicon è un dialogo tra due donne, in due città diverse, a confronto con la mestizia del lavoro precario e della propria impotenza. E' pure il tentativo di dirsi dell’amore frustrato dalla distanza fisica, dal traffico, dal meteo, dalla personale ingiunzione al non dire e al non dirsi. Al di là dei loro scambi frettolosi e distratti, compiuti tra il bordo del letto e la sella di una bicicletta, le due protagoniste si esprimono principalmente attraverso messaggi ipotetici, cancellati, interrotti o disturbati, che fungono da specchio di un disagio economico, sociale ed esistenziale. I suoni ambientali, creati digitalmente da Andrea Centonza, come il ticchettio delle tastiere o lo scrosciare della pioggia, acuiscono questo senso di solitudine, creando vere gabbie sonore attorno alle due attrici Ilaria Felter e Lorena Nacchia.
Anche qui un recitare “quando tutto appare consumato”.
Il Calendario degli spettacoli
Prosa
17 – 19 OTTOBRE
venerdì 17 ottobre h.20 - Burnin di Arianna Sorci
domenica 19 ottobre h.20 - Mosca Cieca di Athos Mion
Danza - Serate EN AVANT!
24 – 26 OTTOBRE
venerdì 24 ottobre h.20
Senza Coda di e con Arianna Delle Gemme
Podiàfos di Priscilla Cornacchia
Prometheus di e con Marcello Malchiodi
domenica 26 ottobre h.20
In fondo alla litoranea di Alvise Gioli
Quando l’acqua diventa ghiaccio di Lorenzo Dino Marchionni
Pelle di e con Giovanna Seccia
Evento + Prosa
31 OTTOBRE / 2 NOVEMBRE
venerdì 31 ottobre h.18
Danzare Oltre_ Buon compleanno Dominique Dupuy!
domenica 2 novembre h.20
Lexicon un progetto della compagnia CORPORA
Ingresso gratuito, prenotazione obbligatoria
Registrati su >>EVENTBRITE<<