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Un viaggio letterario in Australia

Consigli di lettura per un’estate anomala

di Franca Cavagnoli

In questa estate così diversa da quelle che abbiamo conosciuto, in cui potremo viaggiare soprattutto con la mente, perché non intraprendere un viaggio letterario nel Paese più lontano, il cui immaginario è letteralmente agli antipodi rispetto al nostro? Dice David Malouf, uno dei più importanti scrittori australiani contemporanei, che la letteratura del suo Paese non offre ai lettori europei una cultura nuova o esotica come lo sono le letterature africane o dell’India, bensì la loro stessa cultura ma sotto una luce nuova, trasformata dall’essere stata traslata in un luogo diverso. Nella letteratura australiana ci sono infatti temi, aspirazioni, simboli tipicamente europei che si sviluppano però in una società diversa e in circostanze del tutto differenti grazie a questa opera di ‘traduzione’. E chi legge percepisce quanto ha davanti come qualcosa che è e al tempo stesso non è europeo. L’Australia è, come scrive lo stesso Malouf in uno dei suoi romanzi più belli, Conversazioni a Curlow Creek, non l’opposto del giorno bensì “il lato nascosto e simultaneo del giorno”, ciò che palpita e vibra nel sonno mentre qui nel nostro emisfero è giorno pieno.

La visita non può non partire dal Red Centre, il cuore rosso del continente, ossia da L’esploratore Voss di Patrick White, l’unico australiano ad aver avuto il Nobel per la letteratura. Ispirato alla vicenda di Ludwig Leichhardt, l’esploratore tedesco che nel 1848 partì per l’outback con l’obiettivo di attraversare il Paese da est a ovest e che nel “grande vuoto australiano” si smarrì per non fare più ritorno, il romanzo di White è il racconto di un viaggio temerario ed epico e, soprattutto, un coraggioso viaggio dentro di sé e nel contempo una serrata ricerca del senso dell’universo. In Oscar e Lucinda, invece, il romanzo da cui Gillian Armstrong ha tratto il celebre film con Ralph Fiennes e Cate Blanchett, Peter Carey è riuscito a condensare in una sola immagine possente – una chiesa di vetro che dovrebbe celebrare il trionfo del cristianesimo nel continente nuovissimo ma che verrà distrutta dallo smottamento del terreno – la vendetta della natura sui civilizzatori, mentre gli aborigeni, scampati ai tormenti e alle persecuzioni dei coloni, stanno a guardare in un misto di paura, curiosità e indifferenza.

L’amore per la libertà, l’innocenza della natura, l’orrore della guerra sono alcuni dei temi di un romanzo breve di David Malouf, Vola via, ambientato nel Queensland, in cui si racconta una storia di amicizia tra due uomini molto diversi tra loro ma accomunati dalla stessa passione per la natura. Due esistenze che incarnano tutte le contraddizioni, e il fascino, di due mondi, Europa e Australia, ma che qui appaiono come due dimensioni essenziali dell’animo umano, due diversi atteggiamenti spirituali. Un romanzo di rara suggestione e intensità emotiva, sospeso tra narrazione e poesia, sorretto da una scrittura rarefatta, quasi onirica, che a detta di molti fa di Malouf il vero erede di Patrick White.

L’uomo che amava i bambini, il romanzo per il quale Christina Stead è considerata una scrittrice fra le più significative del Novecento anglofono, non è di certo il primo tentativo di dissezionare il corpo della famiglia ma è senza dubbio uno dei pochi destinati a restare indelebilmente impresso nella mente di chi legge. Il mostro generato dalla famiglia al centro di questo libro stupefacente è un padre che all’apparenza – tenero, sorridente, affabile – del mostro non ha proprio niente. Per parlare con i figli Sam è disposto a tutto, anche a inventare una sua personalissima versione della lingua artificiale in cui gli adulti spesso immaginano che i bambini vogliano comunicare. E sarà proprio il lessico familiare di Sam a trascinare in un gorgo patologico prima la moglie e poi i sette figli nati dal matrimonio.

Pochi scrittori mantengono ciò che promettono quando si apre un loro libro. Uno di questi è Tim Winton. Il mistero che subito aleggia nelle prime pagine di Cloudstreet è destinato a farsi più fitto via via che si procede nella lettura: il senso di magia e l’occhio visionario con cui l’autore guarda alla sua terra natale, rimangono una costante fino alla fine di questo singolare romanzo, il cui protagonista non è un essere umano bensì una casa. Al centro della narrazione c’è infatti una casa di Cloudstreet, una via di Perth, nell’Australia Occidentale, “la città più isolata del mondo” non solo perché downunder, ma anche e soprattutto perché è la più lontana dalla capitale del Paese. Come un personaggio che si rispetti, la bella casa di Cloudstreet, ormai fatiscente, ha un’aria vissuta e una lunga storia dietro di sé, fin da quando tra le sue mura una anziana signora istruiva giovani aborigene, una casa dunque che, nei suoi mattoni, porta impresso il marchio dell’Australia coloniale.

La riscrittura della Storia dal proprio punto di vista, il rifiuto della versione proposta dai colonizzatori inglesi, il racconto della vita di esseri che vivono ai margini della società sono il dono delle scrittrici e degli scrittori australiani alla letteratura di lingua inglese. Nelle loro opere offrono una prospettiva insolita da cui guardare al mondo, quella di chi si trova fuori dalla cornice, e mostrano in tutto il suo splendore il ritratto di un continente che conserva la memoria più antica del pianeta.

Di Franca Cavagnoli, traduttrice, scrittrice e docente alla Civica Altiero Spinelli

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