Olivier Dubois torna alla Paolo Grassi per MORSI 2018
Coreografia di Olivier Dubois
Assistente alla coreografia Sandra Savin
con i Danzatori Corso Teatrodanza
Livia Bartolucci, Alice Corio, Alessandra Cozzi, Elisabetta Da Rold, Agnese Gabrielli, Nicolò Giorgini, Gianmaria Girotto, Simone Mazzanti, Camilla Neri, Francesca Rinaldi, Pablo Ezequiel Rizzo, Bruna Romano, Emilio Bagnasco, Cristina Caio, Erica Cinali, Emanuele Frutti, Annalisa Limardi, Cecilia Maresca, Annalisa Morelli, Annalisa Privati.
Teaser di Andrea Linke
Ingresso 5€
prenotazione r.paparella@fondazionemilano.eu
T. 0297152511
La biglietteria apre alle ore 19:00 - il ritiro dei biglietti va fatto entro le 19:45, pena la perdita della priorità acquisita con la prenotazione
Danzatori avanzano e arretrano di dodici passi al ritmo di tamburi.
Dodici passi, perché? Perché dodici sono le sillabe del verso alessandrino, utilizzato come canone nella tragedia francese. Da qui il titolo dello spettacolo di Olivier Dubois, l’artista francese che, con le sue pièces estreme,
è entrato nella hit dei 25 migliori coreografi del mondo, riuscendo a
trasformare, con una serie di capolavori, la danza in arte performativa
grazie a lucidità e originalità del tutto non comuni.
I versi si ripetono, si agganciano, vanno in movimento binato e rimato, al passo, contenuti da una metrica classica che cerca di riordinare il mondo e di esorcizzare gli elementi caotici e dolorosi della tragedia attraverso l’ordine del dispositivo metrico, che incatena e ripulisce il sangue originario.
È la catarsi, la rigenerazione nel dolore osservato fuori da sé; un dolore senza empatia e senza compassione perché è divenuto una forma mitica. Così vuole la tragedia greca, alla quale anche gli autori francesi si sono ispirati. Dopo venti minuti, nella versione originale di un’ora e mezza, il flusso regolare, la dolcezza ipnotica dell’onda sillabata dell’avanzare e arretrare sul ritmo dettato dai dodici passi-dodici sillabe, si frange in flussi caotici di corpi che cadono o danzano a ritmo sfrenato. È l’avvento di una modernità che vive nel verso libero, ma risulta incapace di sviluppare una forma che gestisca il dolore.