Bedbound

CASTING: bedbound

La Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi ricerca

1 attore (età scenica i 40-45 anni) e 1 attrice (età scenica di circa 20 anni)
per l'esercitazione di Margherita Scalise del Secondo Corso Regia Teatrale
Bedbound di Enda Walsh
tutor Sabrina Sinatti

Il piano didattico del 2° anno regia trova il suo centro nella messinscena da parte di ciascun allievo del corso di un breve atto unico della drammaturgia contemporanea, allo scopo di mettersi alla prova nel lavoro con gli attori e gli altri strumenti della regia in forma possibilmente compiuta. Considerando fondamentale poter misurarsi con risposte attoriali attendibili si ritiene importante il coinvolgimento di attori già formati. L’esercitazione prevede 4 settimane di lavoro, incluse 3 repliche interne alla Paolo Grassi.

Cerchiamo 1 attore (età scenica i 40-45 anni) e 1 attrice (età scenica di circa 20 anni)

Profilo degli attori

entrambi gli attori devono avere abilità a lavorare in stretta relazione, un buon senso del ritmo, propensione al lavoro fisico e spiccate capacità ed espressività fisiche (in particolare per il ruolo femminile).

Periodo di lavoro repliche comprese: 15 marzo - 21 aprile 2018 (sospensione per vacanze di pasqua: 30 marzo – 3 aprile)

Casting

- candidatura: si prega di inviare la propria candidatura, corredata di curriculum, 2 foto (1 primo piano e 1 figura intera) ed eventuali link video a casting.paolograssi@gmail.comentro il 5 febbraio, indicando la propria disponibilità per i giorni del 14-15-16 febbraio (14.30-19.30).

- Prima selezione su convocazione: 14 -15- 16 febbraio (orario 14.30-19.30) I candidati selezionati riceveranno le richieste insieme alla convocazione.

- Seconda selezione: 26-27-28 febbraio blocco di lavoro su parte.

E’ prevista retribuzione.

Saranno prese in considerazione solo candidature di attori diplomati presso accademie riconosciute o con esperienza professionale equiparabile.

Il testo

Un padre e una figlia aprono gli occhi nello stesso letto, lei rattrappita dalla malattia e dalla reclusione e lui, ai piedi, sconvolto dalla propria esistenza. I due ripercorrono la storia della vita di lui, che da giovane e scaltro magazziniere è arrivato a possedere un negozio di arredamento. Lei gli presta la sua voce e le sue forze, perché nel silenzio dovrebbe affrontare la propria, di storia. E così, tra un racconto esaltante (ed esaltato), tra l’odio sputato l’uno addosso all’altro, con il cielo nella testa e l’orrore tutto intorno, i due si confrontano, si scontrano e si riavvicinano.

Con un linguaggio che tocca i bassifondi della volgarità e le note liriche più delicate, il testo si muove in un universo onirico, dove gli accadimenti più assurdi coabitano senza problemi con le difficoltà psicologiche di ogni uomo.

Personaggi

PADRE

“Il fatto è cioè la faccenda è... il fatto cioè la questione... Cioè voglio dire che il fatto no la faccenda è… ma vaffanculo… Pahm! Brian raccattalo e sbattilo fuori, toglietemelo dalle palle se no me lo inculo a sangue! Qui si sta scrivendo la storia! Chi è l’uomo che ha aperto tre negozi di mobili nello stesso giorno da una parte all’altra di Dublino!? Chi? Marcus Enright? Perché non mi rispondete, stitici del cazzo!! Nessuno, cazzo, ve lo dico io! Nessun dublinese del cazzo, proprio no! Sicuri che non ci voglia uno di Cork per farcela! Dio in persona era di Cork ! E cazzo se era uno in gamba! Lo conoscevo bene! Ah Cristo, Dio era un lavoratore!! Lavora lavora lavora! E ti ha creato i Continenti! Lavora ancora più duro e ha fatto scorrere i mari! Si è grattato il culo ed è schizzata fuori l’Inghilterra! Io, invece porca puttana c’ho Dublino!”

FIGLIA

“ / tutto è merda e polvere/lui ha smesso col suo gran discorso e Io avverto un silenzio che deve essere riempito con parole /oh cristo/quiete/‘quietÈ è una parola piccolina che non puoi urlare /quiete è quello che voglio/chiedo alla mia testa ‘quietÈ/non devo pensare più alla merda/devo pensare al ‘cielo’ per spalancare la testa e dare voce a tante altre parole/la parola ‘cielo’ penetra attraverso la merda e mi regala ‘blu’ e ‘spazio’ e ‘nuvole bianchÈ e ‘estati’/ la testa libera immagini di cui non posso parlare / troppo grandi/ senza pensare alla merda/senza pensare al letto/il letto del cazzo/ vita mia vita mia vita mia/pensa svelta/ cielo e nuvole ripiegate nel grigio e impacchettate dentro una scatola con su scritto ‘merda’ /fanculo!/così provo a pensare al mio nome/qual è il mio nome?/lei mi chiamava per nome?/mi chiamava Principessa/L’ho vista morire/Sono una bambina/no!/Sono una donna/Ero una bambina/di dieci anni/Sono una donna/quanto fa dieci più dieci?/saranno dieci anni?/ dieci anni io e dieci lei nel letto/ cos’è quel battere, Mamma?, chiedo/i muri si avvicinano?/”

Enda Walsh

Nasce a Dublino nel 1967, ultimo di sei figli, da madre attrice e padre venditore di mobili. Dopo aver lavorato per cinema e televisione si trasferisce a Cork, dove inizia a scrivere per il teatro. Conosce notorietà internazionale con DISCO PIGS (1996), da cui sarà tratto anche un film nel 2001.

Il suo lavoro, oggi tradotto in più di venti lingue, è stato ospitato e prodotto da numerosi teatri internazionali, non ultimi la Schauspielhaus di Amburgo (regia Thomas Ostermeier), il National Theatre di Londra e il Piccolo Teatro di Milano. Nel corso degli anni ha ricevuto importanti premi, tra cui cinque First Winner Award (Edinburgh Festival), il premio Stewart Parker come miglior drammaturgo irlandese, un Tony Award e altri. In Italia è stato finora portato in scena dal Teatro di Dioniso per la regia di Valter Malosti (bedbound nel 2001 e DISCO PIGS nel 2005).

Enda Walsh esplora tutti gli universi della scrittura, spaziando dai racconti alle sceneggiature cinematografiche, dai musical ai libretti d’opera, passando da radiodrammi e installazioni d’arte. Il suo lavoro è caratterizzato da un approfondito studio sul linguaggio, ricco di immagini e registri differenti, e dalla accurata delineazione di personaggi borderline. Ricorrente, nei suoi testi, è una spasmodica ricerca per l’amore e la quiete; i suoi mondi sono espressionisti, con regole proprie che lo spettatore deve imparare per potersi addentrare sotto la superficie.

Note di regia

Il letto è l’arena dei sogni.

È il luogo dove dormiamo, dove nasciamo e moriamo, dove facciamo l’amore, dove sogniamo. È il territorio onirico per eccellenza: abitarlo significa convivere con i ricordi del passato, con i desideri per il futuro, con il proprio corpo. È dove tutto si ferma; il corpo riposa immobile e le immagini, dietro agli occhi, galoppano. Il letto può rappresentare il massimo sollievo, alla fine della giornata, o la massima tortura, se costretti a starci contro la propria volontà.

La figlia e il padre vi abitano, l’una per costrizione, l’altro per sfinimento. La claustrofobia dello spazio fisico si riflette in un infinito gioco di specchi opachi con l’inevitabile claustrofobia dello spazio mentale. Parlare, giocare a rievocare salva i due personaggi dalla deriva verso il nulla (“cosa sono io se non sono parole?” dice lei). Sarà solo un insperato desiderio comune di quiete a farli riconciliare, addolcendo infine le loro fratture interiori.