Brera Coro Voci Bianche 16 Luglio 2020

16 luglio - ancora un terzo giovedì serale di Brera Musica on line

ll cuore di Brera Musica continua a battere con gli allievi della Civica Scuola di Musica Claudio Abbado

Coro di voci bianche, Emanuela Russo, Francesco Vasconi, Chiara Caramia, Marco Silvestri

16 luglio
ancora un terzo giovedì serale di Brera Musica on line
Il Museo è chiuso ma il cuore di Brera continua a battere a tempo di musica

Proseguono i tradizionali appuntamenti con il progetto Brera Musica on line e gli studenti della Civica Scuola di Musica Claudio Abbado che, sebbene virtualmente, continuano ad arricchire l'esperienza del Museo con un repertorio che lega strettamente le opere esposte, l'arte visiva e la musica. Per mantenere il contatto, da sempre stretto, con il pubblico, la Pinacoteca di Brera e la Civica Scuola di Musica Claudio Abbado hanno quindi realizzato anche per il 16 luglio dei video speciali. Protagonisti sono il Coro di voci bianche della Civica Scuola di Musica Claudio Abbado diretto da Dario Grandini, che proporrà un brano di Benjamin Britten, e le due formazioni in duo costituite rispettivamente da Emanuela Russo (violino) e Francesco Vasconi (pianoforte), e da Chiara Caramia (flauto) e Marco Silvestri (percussioni).

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Coro di voci bianche della Civica Scuola di Musica Claudio Abbado
Dario Grandini, direttore

"Per accompagnare l’ascolto di Un canto per l’anno nuovo, tratto dalla raccolta di brani per bambini di Benjamin Britten Friday Afternoons, il Coro di voci bianche propone la coloratissima opera di Umberto Boccioni La città che sale. L’augurio è che il legame tra il canto di speranza per un nuovo inizio e la pittura che ritrae Milano in tutta la sua bellezza, innovazione e tendenza al progresso, possa, in questo momento di ripresa, essere di buon auspicio alla città che prima della pandemia saliva e che, adesso, dovrà imparare a risalire".
(Matilda Sasselli, corista)

PROGRAMMA
Benjamin Britten, Un canto per l’anno nuovo, da Friday Afternoons op. 7

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Emanuela Russo, violino
Francesco Vasconi, pianoforte

"La seconda sonata per violino e pianoforte di Schumann è stata composta in pochi giorni, nel 1851, poco dopo la prima. Si trattava per Schumann di un periodo difficile, sia per lo scontento derivato dalla sua posizione lavorativa, sia per le difficoltà derivate dal peggioramento della sua malattia. Eppure lo stesso Schumann si dichiara estremamente soddisfatto di questo lavoro, che si pone come una elaborata e complessa conseguenza della prima sonata, che prende per questo il nome di Grosse Sonate. Abbiamo scelto questo particolare accostamento con il dipinto di Poliakoff Composizione del 1957 per l’affinità formale che potrebbe collegare le due opere. Per quanto il carattere astratto dell’opera di Poliakoff si discosti stilisticamente da quello romantico della sonata, abbiamo individuato un elemento comune riguardante l’accostamento dei colori, sovrapposti e giustapposti tra loro, e l’elaborazione delle cellule fondanti della sonata nei diversi contesti che la caratterizzano. Nell’approccio alla sonata ci siamo focalizzati molto sull’osservazione del mutare di due cellule, una melodica, individuabile chiaramente all’inizio, che funge da omaggio al violinista dedicatario, e una ritmica, continuamente riproposta ed elaborata in base al contesto emotivo. In particolare troviamo interessante accostare al colore rosso, proposto nitidamente e un’unica volta nel dipinto, il tema iniziale della sonata; ai colori blu e viola, chiaramente prevalenti, la cellula ritmica sempre presente; i momenti di luce e cantabilità ai colori più chiari che vengono sovrapposti ai precedenti. Possiamo in questo senso rifarci alla teoria dei colori di Goethe, che individua in quelli primari, chiaramente preponderanti nel dipinto, una valenza psicologica. Il colore rosso viene descritto come il colore al quale tutti gli altri tendono e riconducibile a un’impressione di gravità e dignità, clemenza e grazia, elementi presenti nell’introduzione lenta. Il giallo e il blu sono strettamente legati alla luminosità e oscurità: il primo è una luce attenuata dalle tenebre, il secondo un’oscurità indebolita dalla luce, così come accade nella sonata nell’alternarsi di momenti lirici e dinamici". (Russo/Vasconi, note)

PROGRAMMA
Robert Schumann, Ziemlich langsam e Sehr lebhaft, dalla Sonata n. 2 op. 121

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Chiara Caramia, flauto
Marco Silvestri, percussioni

"L’aube enchantée è un brano per flauto e arpa composto da Ravi Shankar nel 1976. Si tratta di un brano scritto per due strumenti tipicamente occidentali, ma dalle forti connotazioni esotiche che ben dichiarano le origini indiane del compositore: è infatti basato su un raga, ovvero una sequenza di note a partire dalle quali, solitamente, gli esecutori di musica classica indiana sono chiamati a improvvisare. In particolare, Shankar basa la sua composizione sul raga “Todi”: una successione di sei note che ricordano una melodia triste, malinconica, di lamento funebre, citando il compositore, che pervade l’intero brano. In questa esecuzione la parte dell'arpa viene proposta dal vibrafono e dalla marimba.Dopo un inizio sommesso, in un’atmosfera intorpidita e onirica, cominciano una serie di episodi, via via sempre più complessi ed intrecciati che terminano ogni volta con lo stesso motivo ossessivo, rigido e ineluttabile, quasi a voler indicare che, al di là di qualsiasi frenesia e fantasia cognitiva umana, esiste solo una certezza. Nella seconda parte del brano, tuttavia, questo motivo scompare e lascia spazio a una dialettica tra i due strumenti poco più distesa, fatta sempre di ritmi incalzanti e serrati, ma meno angoscianti. Abbiamo ricondotto la peculiarità di questa musica al celebre dipinto Cristo morto nel sepolcro e tre dolenti di Andrea Mantegna, del 1483, opera esposta nella sala VI della Pinacoteca: il denominatore comune, oltre che nel tema della morte, lo abbiamo trovato anche nella composizione delle due opere: lo scorcio prospettico del dipinto risulta di grande impatto emotivo e in entrambi i casi il fruitore viene trascinato all’interno del dramma da lontano. Le membra irrigidite dal rigor mortis del Cristo ricordano il motivo ricorrente ne L’aube enchantée e l’epilogo della storia del Cristo può forse spiegare l’apertura consolante che caratterizza la seconda parte del brano di Shankar. (Caramia/Silvestri, note)

PROGRAMMA
Ravi Shankar, L’aube enchantée

un ringraziamento a Luca Mastrangelo per la realizzazione del video del Coro di voci bianche