Stagione SAN FEDELE MUSICA 2018 - 2019
Sacro in musica
Luigi Cherubini
REQUIEM n. 41 in do minore
Introitus et Kyrie
Graduale: Requiem aeternam
Sequentia: Dies irae- Lacrimosa
Offertorium: Domine Jesu Christe - Quam olim Abrahae - Hostias et preces - Quam olim Abrahae
Sanctus et Benedictus
Pie Jesu
Agnus Dei et Communio
I Civici Cori e Orchestra della Civica Scuola di Musica Claudio Abbado Francesco Girardi, maestro preparatore
Mario Valsecchi, direttore
***
Orchestra
Antonio Di Donna, Irene Barsanti, Luca Perotto, flauto
Federica Monti, Francesco Mariano, Matilde Giusti, Francesco Chimienti, clarinetto
Guido Toschi, Antonella Varvara, oboi
Sebastian Belotti, Leonardo Maria Scarano, fagotti
Fabio Ponzelletti, Alfredo Pedretti, corni
Lisa Fiocco, Aleksej Levi, trombe
Loris Guastella, Luca Missiti, Rodolfo Rondinelli, tromboni
Luca Poloni, timpani
Archimede
De Martini, Martina Verna, Giulietta Bianca Bondio, Miklos Papp,
Alessia Giuliani, Emanuela Russo, Irene Niglio Pilar, Rossella Serino, violini primi
Matteo
Vacca, Mara Kitharatzis, Maurizio Ghezzi, Giulia Gambara, Pietro
Cirino, Alice Currao, Riccardo Brigliadoro, Lorena Caffi, violini secondi*
Roberto Ghezzi, Valentina Cattaneo, Francesco Caputo, Maria Beatrice Aramau, Elisabetta Danelli, viole
Andrea Stringhetti, Federico Parnanzini, Fabio Furlanetto, Alfredo Cicoria, violoncello
Federico Donadoni, Giosuè Pugnale, Zinovii Shkurhan, contrabbassi
Coro
Giuseppina Airaghi, Patrizia Ambrosiani,
Maria Pia Boellis, Marina Bonfanti, Elena Brini, Vincenza Cannarella,
Paola Catenaccio, Mirella Del Mastro, Elena Elettra Doria, Silvia
Gialinà, Anna Iannone, Italia Lia Iollo, Elisabetta Magagni, Silvia
Claudia Laura Manni, Moira Maggi, Marta Moreschi, Alessandra Penna,
Claudia Porretto, Denise Prandini, Simona Ricci, Paola Maria Rossi,
Piera Angela Saccenti, Silvana Soldano, Monica Venanzetti, soprani
Michela
Allais, Antonella Caterina Attardo, Annalisa Burbo, Silvia Cantoni, Cai
Yang, Maria Canu, Simona Lydia Cuneo, Antonella Dalla Pozza, Sonia De
Luca, Marina Gaudenzi, Maria Antonietta Grasso, Maria Luisa Lodi,
Cristina Rita Lombardo, Grazia Maria Maiolino, Filomena Mastantuono,
Kaori Matsuura, Paola Ottino, Barbara Picutti, Maria Pietra, Biancamaria
Pizzi, Letizia Rampani, Eugenia Rizzo, Anna Caterina Sbordone, Cristina
Scagliotti, Maria Chiara Vitali, contralti
Enzo
Luigi Giuseppe Bensi, Lorenzo Demaria, Fabrizio Fassone, Marzio
Ferranti, Sandro Levi, Roberto Mariani, Carlo Marossi, Eugenio Demetrio
Porcino, Giuseppe Saldaneri, Marco Sprega, tenori
Guido
Fogacci, Roberto Granata, Simone Grisotto, Maurizio Maestrelli, Sergio
Perri, Dino Pugnale, Federico Salvatori, Michele Tribuzio, Fabio Zambon,
bassi
LUIGI CHERUBINI REQUIEM in do minore (1816)
Composto nel 1815 per volere di Luigi XVIII (in onore del fratello Luigi XVI giustiziato vent'anni prima), il Requiem fu eseguito nella chiesa di St. Denis a Parigi il 21 gennaio 1816. La partitura impressionò particolarmente i coevi e divenne modello per i compositori, che ne apprezzavano la scrittura elegante, l'intrinseca mestizia, nonché l'assenza di tono celebrativo. Più di quello di Mozart, il Requiem di Cherubini piaceva a Beethoven che affermava: «Un requiem deve essere una commemorazione malinconica dei morti. [...] Deve essere una musica calma; non c'è bisogno della tromba del Giudizio: la commemorazione dei morti non richiede strepito». Cherubini, dunque, sceglie il tono solenne e distaccato di una composizione scritta per l'umanità, rifuggendo da accenti patetici o malinconici che avrebbero conferito un carattere intimo, estraneo alle idee del compositore. Del resto non compaiono voci solistiche, perché la loro presenza avrebbe interrotto l'effetto della collettività in preghiera, concentrando troppo l'attenzione su singoli elementi, mentre è il "tutto", la dimensione antisoggettiva, che sta alla base della composizione. Come afferma Degrada, «A differenza della musica dei giovani compositori romantici che tanto l'ammiravano, la musica di Cherubini non allude mai: afferma. Essa è la concretizzazione di un mondo di idee organizzato in una visione dell'arte e del mondo che ha una saldezza granitica e che viene esibita con un rigore morale e una fermezza che potevano suggerire a Robert Schumann il paragone con Dante».
Introitus et
Kyrie
Pur rinunciando al timbro dei violini, il compositore
costruisce la partitura affidando all'orchestra la parte cantabile (nel
mirabile impasto tra fagotti e violoncelli), e al coro un ruolo quasi di
accompagnamento, fascia sonora che solo raramente si innalza dal
registro medio. Tutto ciò concorre a creare il colore scuro che segna
l'apertura e domina buona parte della composizione. Il linguaggio è
scarno, le armonie "povere", tutta l'attenzione si concentra dunque
sulle parole, scandite e ripetute, sempre chiare e mai confuse da
artifizi contrappuntistici.
Graduale
Separato armonicamente, ma naturale appendice dell'Introitus,
il Graduale riduce ancora di più le forze in campo, con un effetto di
assottigliamento il cui scopo è quello di far risaltare l'impatto del Dies Irae.
Dies Irae
Un colpo di tam-tam, dopo gli squilli degli
ottoni, dà il via alla descrizione del giudizio universale: un inizio
molto teatrale che ricorda certe esplosioni di temporali nel melodramma
ottocentesco, anche per l'uso degli archi (compresi i violini) che hanno
veloci note ribattute in pianissimo. Il senso incalzante del ritmo è
inoltre accentuato dal semplice espediente di far cantare al coro una
medesima melodia spostando però l'attacco degli uomini una battuta dopo
quella delle donne. Si innesca così un "inseguimento" che, pur nella sua
evidenza, non manca di creare una certa tensione; l'implacabile
meccanismo travolge il «Tuba mirum» e si placa solo al «Salva me» per
poi riprendere, ancora più frenetico, al «Confutatis maledictis». Le
varie parti della lunga sequenza («Dies Irae», «Tuba mirum», «Rex
tremendae», «Salva me», «Recordare», «Confutatis maledictis», «Voca me»,
«Oro supplex», «Lacrymosa») oltre al tratto comune nell'uso del coro,
sono assecondate in tutte le pieghe del testo in modo quasi didascalico:
dalla solenne fanfara del «Tuba mirum» si passa alla preghiera accorata
del «Salva me». L'ira del «Confutatis» trova la giusta espressione
nelle risorse del contrappunto, mentre la fiducia nella salvezza eterna
(«Lacrymosa») si riflette nella pacata armonia del canto, poggiata su
una fascia orchestrale quasi trasparente e immobile.
Offertorium
Si ripete lo schema già collaudato dell'Introitus,
con l'orchestra che torna a muoversi e a cantare mentre il coro
scolpisce le parole con un solenne andamento omoritmico. Al versetto
«Quam olim Abrahae promisisti, et semini ejus», Cherubini, in ossequio a
una tradizione consolidata, imposta una fuga magniloquente, prova
significativa della sua fama di abile contrappuntista. Anche in questo
caso però l'architettura salvaguarda la comprensibilità del testo e,
dove le parole si sovrappongono, Cherubini le ripete finché non siano
emerse in tutta la loro pregnanza.
Sanctus
L'orchestra
al completo (con trombe, tromboni e corni sempre in evidenza) e il coro
quasi sempre nel registro medio-alto, rendono imponente e sfarzosa la
celebrazione della gloria divina in questa breve ma intensa pagina. Il
metro ternario conferisce inoltre una fierezza che trova la logica
conseguenza nell'invocazione «Hosanna in excelsis», perfetto esempio di
concordanza tra testo e musica.
Pie Jesu
La preghiera per le anime defunte diviene, tra
le mani del compositore, un'elegante melodia che si snoda per otto
battute e ritorna più volte tra le varie voci, un leitmotiv
sapientemente costruito per imprimersi nella memoria dell'ascoltatore.
L'orchestra accompagna sempre in pianissimo come se non volesse
"disturbare" il movimento delle voci, e solo qua e là clarinetti e
fagotti impreziosiscono la partitura con la loro particolare sonorità.
Agnus Dei
Il coro implora la pace eterna, e l'Agnello di
Dio viene invocato per tre volte con grande energia. Cherubini alterna
in modo netto forte e piano e, dopo aver infiammato la parte centrale
(«Lux aeterna»), nel finale in pianissimo si allontana dalla preghiera
esteriore, quella declamata, per concentrarsi sul silenzio
dell'interiorità che mano a mano dilaga nella partitura.
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