Grazie alla preziosa collaborazione con il CTU dell’Università degli Studi di Milano (Centro per l'innovazione didattica e le tecnologie multimediali) il nostro Istituto ha raccolto, nel corso degli anni, le registrazioni di numerosi eventi, conferenze, convegni organizzati presso il Polo di Mediazione Linguistica e Studi Interculturali, e le interviste in video a celebri autori cinesi e sinologi che hanno contribuito a far conoscere la Cina e a scrivere la storia dei rapporti tra il nostro Paese e quello di Mezzo. Tutte le interviste sono in lingua originale e sono state da noi tradotte e sottotitolate in italiano. Rappresentano un valido strumento per praticare il proprio cinese, opportunità per ascoltare in presa diretta le testimonianze degli ospiti.
"Photo by Bengt Nyman licensed under CC BY 2.0"
Dalla letteratura, al cinema e al calcio globale
Dal 2009 a oggi sono stati tantissimi gli scrittori cinesi che sono venuti a far visita al nostro Istituto in occasione della presentazione ai lettori milanesi dei loro libri tradotti in italiano, e le interviste che proprio grazie alla collaborazione con il CTU abbiamo realizzato costituiscono testimonianze dirette di cosa significhi fare letteratura nella Cina odierna. Sono interpreti e testimoni privilegiati della Cina di oggi che, attraverso la loro scrittura ci illustrano il loro mondo poetico e letterario, prendono spunto dalle domande per raccontare e farci entrare in maniera diretta nel loro modo di lavorare, di guardare il loro paese e il mondo esterno, di affrontare il problema dell’essere tradotti. Ci accompagnano con la loro stessa voce alla scoperta di una Cina molto diversa da quella stereotipata che spesso ci viene raccontata. Alcuni tra i più noti: Mo Yan, Yu Hua, Guo Xiaolu, Qiu Xiaolong, Yan Lianke, Liu Zhenyun, Wang Gang...
Una delle interviste più godibili ed esclusive è stata a Mo Yan. Noto al grande pubblico per il romanzo Sorgo rosso, da cui il regista Zhang Yimou trasse il film omonimo, è stato ospite del nostro Istituto nel 2010, quando non aveva ancora vinto il Nobel per la letteratura, ottenuto due anni dopo. Il celebre autore si racconta in maniera del tutto amichevole, profonda, piacevole, nella bellissima cornice dei chiostri dell’Università Statale. Un grandissimo story teller, che vale davvero la pena di ascoltare.
Ma non sono stati solo gli autori cinesi a raccontarci la loro Cina: numerosi sono stati anche gli esperti sinologi del mondo accademico, cinematografico, artistico, che hanno voluto lasciarci una loro testimonianza diretta, e tra questi ricordiamo Marie Pierre Duhamel, Cesare Romiti, Silvia Calamandrei, Hugo De Burgh, Marco Muller…
Quest’anno ricorre il 50° anniversario dell’allacciamento dei rapporti diplomatici tra Italia e Cina, e poter avere accesso a questo nostro archivio offre senza dubbio un’opportunità unica di ascoltare la voce di di specialisti che in Cina hanno lavorato e che ci lavorano ancora oggi e si impegnano a spiegarne e raccontarne anche le sfaccettature meno conosciute.
Il cinema è stato spesso al centro degli incontri organizzati dal nostro Istituto. Non sono, dunque, mancati celebri ospiti tra cui Marco Müller. La prima intervista risale al 2007, quando Müller era direttore del Festival del cinema di Venezia e raccontava di come la Cina stesse arrivando a Venezia in quegli anni. A distanza di dodici anni, nell’intervista del 2019 racconta di come il cinema cinese sia diventato globale e stia affrontando le sfide della nuova modernità con nuovi mezzi, nuovi temi e nuove speranze.
Tra gli eventi ricordiamo almeno la giornata di studio e d’incontro organizzata in collaborazione con il Dipartimento di Scienze della Mediazione Linguistica e Studi Interculturali sull’ingresso della Cina nel calcio globale, che si è tenuta nel 2017, in un’aula gremita di studenti e non. L’incontro ha voluto offrire una riflessione a più voci sulle implicazioni culturali, sociali, economiche e politiche con la Cina in un contesto per molti versi inedito come quello del calcio. Tra gli ospiti dell’evento ricordiamo anche Javier Zanetti, che si è confrontato vivacemente con gli specialisti che hanno discusso la questione in termini accademici.
Nell’ottobre del 2019 è stato nostro ospite Yang Peiming, fondatore dello Shanghai Propaganda Poster Art Centre, in occasione della mostra Cina 1949: immagini di un sogno nuovo da noi organizzata, che ha visto, per la prima volta in Italia, l’esposizione di coloratissimi manifesti risalenti alla fondazione della Repubblica Popolare Cinese (RPC) il 1° ottobre del 1949. Opere che sono state selezionate per rappresentare gli anni 1949-1951, considerati un periodo cruciale e immediatamente successivo alla fondazione della Repubblica popolare cinese, quando le esigenze della propaganda politica trovano nel profondo tessuto dell’arte popolare cinese uno speciale e felice momento di sintesi.
Le registrazioni degli eventi e le interviste sono disponibili al link
Mo Yan: un breve estratto dell'intervista
“Mi sono scelto un nome d’arte: Mo Yan, che in cinese significa “senza parole, taciturno”. Perché ho scelto un nome del genere? Quand’ero piccolo, nel villaggio in campagna dove vivevo, c’era la lotta di classe e ognuno vedeva l’altro come un nemico. Se dicevi qualcosa di sbagliato rispetto alle regole di allora causavi un sacco di problemi a te stesso e alla tua famiglia per cui mi ricordo che i miei mi insegnarono a parlar poco quando uscivo di casa o, ancor meglio, a non parlare per niente, perché più parlavi più rischiavi di dire qualcosa di sbagliato e di essere criticato. Quindi l’istruzione che mi è stata impartita sin da piccolo è stata quella di non parlare. Questa è la prima cosa che mi è venuta in mente quando ho iniziato a scrivere, da qui il mio nome d’arte. Inoltre, le due componenti del secondo carattere del mio nome vero (mo) danno luogo proprio ai due caratteri mo yan (senza parole), per cui secondo me a maggior ragione lo pseudonimo funzionava. Per me è come un promemoria: parla meno ma scrivi di più e agisci […] Nell’esercito si potevano leggere molti libri che in campagna non esistevano […] Negli anni Ottanta ho iniziato a scrivere romanzi. A quei tempi, la situazione era piuttosto complessa, nel senso che all’interno dell’esercito c’erano diversi gruppi artistici professionisti, corpi di danza, cori, troupe teatrali, perfino acrobati, musicisti, pittori, artisti di ogni genere. Ovviamente c’era anche un gruppo di scrittori e poeti, di cui sono entrato a far parte come civile. Il compito principale era scrivere romanzi, ovviamente, e secondo me questa esperienza è stata fondamentale per la mia carriera: se fossi rimasto in campagna molto probabilmente non sarei diventato uno scrittore.”